Non si può che essere d'accordo con Obama quando afferma che l'Europa non ha reagito (o meglio, lo ha fatto seguendo la logica del profitto a vantaggio esclusivo di una casta ristretta che tiene le fila del destino economico Continentale da anni) con la dovuta velocità alla crisi del 2007.
Corre l’obbligo però, di sottolineare come l’essere d'accordo su questo passaggio non significhi il fatto di poter replicare con altrettanta risolutezza alla sfrontatezza con cui il solerte (adesso!) presidente degli Stati Uniti cerca di vendere un prodotto in modo da arrivare alla riconferma del mandato presidenziale.
Barack Obama sembra dimenticare il ruolo determinante, attivo e probabilmente primordiale che gli stessi States hanno avuto nell'accelerazione dello sgretolamento di un “sistema” arrivato al culmine della sua parabola discendente. Vogliamo ricordare al presidente Obama la sconsiderata politica economica che ha permesso la prima crisi dei “subprime” sottolineando come siano state le prime avvisaglie della "mondialità" e del carattere strutturale di quella che negli anni si è trasformata in una tragedia socio-economica. In realtà crediamo che anche Lui sia cosciente del fatto che da questa crisi si uscirà probabilmente con le ossa più che rotte, e che uscirne con i soliti strumenti significa creare nuove disuguaglianze, fare nuove "vittime" e produrre nuovo sfruttamento, umano e sociale. Se da questa crisi riusciremo ad uscire potremo solo sperare nella presa di coscienza del fatto che occorrano politiche alternative, tali da non riproporre gli strumenti che l'hanno determinata. Non essendo "geneticamente" d'accordo sul fatto di cambiare indirizzo, né tanto meno di modificare un modello socio-economico che è da tempo improntato sul liberismo selvaggio, il presidente Obama si guarda intorno alla ricerca di qualcuno che possa scontare la pena al posto del grande paese del quale si trova alla guida. Perché tacere e non chiamare le cose con il loro nome? Da che mondo è mondo l'America ha cercato di risolvere le lacune che di volta in volta si creavano al proprio interno attraverso l'uso ambiguo della partecipazione a conflitti bellici (quasi sempre evitabili), sviluppando e incrementando l'attività delle industrie produttrici di armi, senza mai aver messo in conto un cambiamento che coniugasse la tanto sbandierata parola "libertà" a quella più realistica e improntata sulle opportunità sociali diffuse e accessibili ai più. Le parole scorrono veloci quando a pronunciarle è lo stesso presidente Americano, che coglie l'occasione della sua presenza come ospite al dibattito sul tema dell'occupazione organizzato da Linkedin, il social network che si rivolge prevalentemente ai professionisti: "L'Europa sta affrontando la crisi del debito pubblico ma non sta agendo abbastanza velocemente per risolvere il problema".
Barack Obama sembra dimenticare il ruolo determinante, attivo e probabilmente primordiale che gli stessi States hanno avuto nell'accelerazione dello sgretolamento di un “sistema” arrivato al culmine della sua parabola discendente. Vogliamo ricordare al presidente Obama la sconsiderata politica economica che ha permesso la prima crisi dei “subprime” sottolineando come siano state le prime avvisaglie della "mondialità" e del carattere strutturale di quella che negli anni si è trasformata in una tragedia socio-economica. In realtà crediamo che anche Lui sia cosciente del fatto che da questa crisi si uscirà probabilmente con le ossa più che rotte, e che uscirne con i soliti strumenti significa creare nuove disuguaglianze, fare nuove "vittime" e produrre nuovo sfruttamento, umano e sociale. Se da questa crisi riusciremo ad uscire potremo solo sperare nella presa di coscienza del fatto che occorrano politiche alternative, tali da non riproporre gli strumenti che l'hanno determinata. Non essendo "geneticamente" d'accordo sul fatto di cambiare indirizzo, né tanto meno di modificare un modello socio-economico che è da tempo improntato sul liberismo selvaggio, il presidente Obama si guarda intorno alla ricerca di qualcuno che possa scontare la pena al posto del grande paese del quale si trova alla guida. Perché tacere e non chiamare le cose con il loro nome? Da che mondo è mondo l'America ha cercato di risolvere le lacune che di volta in volta si creavano al proprio interno attraverso l'uso ambiguo della partecipazione a conflitti bellici (quasi sempre evitabili), sviluppando e incrementando l'attività delle industrie produttrici di armi, senza mai aver messo in conto un cambiamento che coniugasse la tanto sbandierata parola "libertà" a quella più realistica e improntata sulle opportunità sociali diffuse e accessibili ai più. Le parole scorrono veloci quando a pronunciarle è lo stesso presidente Americano, che coglie l'occasione della sua presenza come ospite al dibattito sul tema dell'occupazione organizzato da Linkedin, il social network che si rivolge prevalentemente ai professionisti: "L'Europa sta affrontando la crisi del debito pubblico ma non sta agendo abbastanza velocemente per risolvere il problema".
Già, debito pubblico… Si è mai chiesto Obama, chi e come si è formato questo debito pubblico? Oppure, ha mai pensato al motivo per il quale viene chiesto ai più deboli, ai ceti meno abbienti e soprattutto ai lavoratori dipendenti, di pagare questo debito al posto di chi in realtà l'ha causato?
Se la crisi è mondiale, non possiamo che confrontarci con queste problematiche. Scaricare le responsabilità su altri come spesso (per non dir sempre) è avvenuto, non è più proponibile. Così come chiedere che a pagare il frutto di questa crisi siano sempre ed ancora gli stessi. Lo hanno compreso gli "Indignados" in Spagna e molti altri movimenti popolari che si stanno sviluppando ovunque. Già molto tempo fa, da Porto Allegre partì un segnale che nessuno ha mai voluto ascoltare, quanto piuttosto avversare. Gli effetti nefasti di un processo globalizzante ha determinato una forte accelerazione alla dissoluzione di un intero sistema economico-sociale. Quello stesso sistema che da secoli produce ricchezza attraverso lo sfruttamento e la crescita del profitto a discapito dell'aumento di una crescente fascia di povertà. Crediamo che siano in pochi a meravigliarsi delle paure del Presidente Obama, al quale potrebbe venir risposto che non è la sola Europa che spaventa il mondo quanto l'ostinatezza e l'avidità di coloro i quali fanno di tutto per mantenere una situazione di privilegio di cui fanno, e continueranno a fare le spese, i più deboli; non a caso definiti ormai con il termine di "soliti noti".
Pubblicato su Dazebao.NEWS.it
Se la crisi è mondiale, non possiamo che confrontarci con queste problematiche. Scaricare le responsabilità su altri come spesso (per non dir sempre) è avvenuto, non è più proponibile. Così come chiedere che a pagare il frutto di questa crisi siano sempre ed ancora gli stessi. Lo hanno compreso gli "Indignados" in Spagna e molti altri movimenti popolari che si stanno sviluppando ovunque. Già molto tempo fa, da Porto Allegre partì un segnale che nessuno ha mai voluto ascoltare, quanto piuttosto avversare. Gli effetti nefasti di un processo globalizzante ha determinato una forte accelerazione alla dissoluzione di un intero sistema economico-sociale. Quello stesso sistema che da secoli produce ricchezza attraverso lo sfruttamento e la crescita del profitto a discapito dell'aumento di una crescente fascia di povertà. Crediamo che siano in pochi a meravigliarsi delle paure del Presidente Obama, al quale potrebbe venir risposto che non è la sola Europa che spaventa il mondo quanto l'ostinatezza e l'avidità di coloro i quali fanno di tutto per mantenere una situazione di privilegio di cui fanno, e continueranno a fare le spese, i più deboli; non a caso definiti ormai con il termine di "soliti noti".
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